venerdì 6 ottobre 2017

GIRO D'ITALIA #4: TOSCANA







“Infatti, anche l'aria e il sole sono cose da conquistare dietro le barricate”.

Toscana neorealista

Giunti alla quarta tappa del nostro Tour approdiamo in Toscana, regione che ha fornito tra i più importanti autori della nostra letteratura. La scelta del libro di questa settimana è ricaduta su "Il quartiere" di Vasco Pratolini, scrittore nato a Firenze e considerato tra i promotori del movimento "neorealista".

Ambientato negli anni '30, il romanzo narra delle peripezie di un gruppo di ragazzi adolescenti appartenenti ad un quartiere popolare di Firenze. L'opera si caratterizza per un intreccio continuo di vicende personali e collettive dei vari personaggi senza che ne emerga uno in particolare, neanche della voce narrante che si identifica con quella dell'autore.
A far da sfondo è il quartiere Santa Croce di Firenze, quasi vero e unico protagonista del romanzo, descritto come un proprio mondo isolato dal resto in cui, tra le difficoltà della vita e la miseria umana, la sua gente ci si riconosce e la appartiene.


Attraverso le varie vicende amorose e non ( "eravamo creature comuni. Ci bastava un gesto per sollevarci collera o amore" ricorderà la voce narrante ) l'autore riesce nel duplice intento di raccontare da un lato lo sviluppo spirituale e la presa di coscienza politica dei suoi personaggi e dall'altro, attraverso la descrizione del Quartiere, la vita politica fiorentina e la tendenza del fascismo di demolire le case popolari nel tentativo di impedire in nuce moti rivoluzionari.

Infine nel romanzo si possono notare alcuni degli aspetti più originali dello stile di Pratolini, tra cui la maestria nella descrizione della realtà cittadina, in particolar modo delle periferie, senza la classica contrapposizione con il mondo contadino. Pratolini ci ricorda come anche in città sia possibile la formazione di un luogo corale di sentimenti e di appartenenze, prerogative più dell'uomo che non del luogo.




Toscana tragicomica

Il film scelto questa settimana per rappresentare la Toscana, o ancora meglio la toscanità, è "Amici Miei" (1975) di Mario Monicelli.

Nato dalla fervida mente di Pietro Germi, che per via della sopraggiunta malattia ne affidò la regia a Monicelli, il film racconta le avventure di una sgangherata comitiva di amici fiorentini, "amici di scuola, di caserma, e dunque amici da tutta la vita" come sottolinea Giorgio Perozzi, voce narrante della vicenda.
Partendo dall'architetto Melandri, consumato dall'amore per una donna al di sopra delle sue possibilità, passando per il conte Mascetti, nobile (de)caduto in una disgrazia nerissima, e finendo al Perozzi, marito e padre ma fondamentalmente solo se non fosse per gli amici, la pellicola narra con umorismo e allo stesso tempo estrema amarezza e cinismo le goliardate del gruppo e le vicende personali dei singoli protagonisti.

La scelta di questo film per il percorso non è stata fatta semplicemente per la sua ambientazione fiorentina, ma per la viscerale toscanità che pregna tutta la pellicola. Monicelli, che non a caso ha fatto credere per tantissimo tempo di essere nato a Viareggio e non a Roma, sentiva le sue radici affondare in Toscana e ci ha lasciato un film caratterizzato da un umorismo "tipico" della regione: viscerale, sarcastico e amaramente ironico. 
Se a questo si aggiunge una costante e implacabile dissacrazione di ogni autorità, religiosa, istituzionale e sociale, quello che si ottiene è un film caposaldo della commedia all'italiana, in equilibrio precario tra la commedia e la tragedia, splendido esempio della toscanità più verace, quella che riesce a far ridere persino ad un funerale.

venerdì 29 settembre 2017

GIRO D'ITALIA #3: SICILIA



Acquerello Siciliano

Nella terza tappa del nostro tour italiano approdiamo in Sicilia, terra di innumerevoli scrittori, poeti e drammaturghi. Tra la vasta scelta di autori disponibili la mia decisione è ricaduta su "Gli zii di Sicilia" di Leonardo Sciascia.

Raccolta composta da 3 racconti lunghi, pubblicato per la prima volta nel 1958 nella prestigiosa collana "I gettoni" diretta dal compianto Elio Vittorini, si presenta come uno dei primi tentativi di Sciascia come narratore.

La raccolta si apre con "La zia d'America", prosegue con "La morte di Stalin" e si conclude con "Il quarantotto". I primi due racconti sono accomunati sia nello stile che negli intenti, essendo tentativi dissacratori di due opposti miti dell'epoca: lo "zio Sam" da un lato, simbolo di libertà e opportunità lavorative, e Stalin dall'altro, come rappresentante d'eccezione del mito comunista. 
Il terzo racconto invece è ambientato nel periodo risorgimentale e tratta del tema dell'unificazione del regno d'Italia visti dagli occhi di un siciliano, con forti richiami alle opere di De Roberto e Tomasi di Lampedusa nelle descrizioni della classe dominante autoctona. 

In questa opera si possono osservare in nuce molti dei tratti che renderanno celebre, in Italia e in tutto il mondo, la figura di Sciascia: il suo attaccamento al territorio siciliano, la capacità di coglierne contraddizioni e paradossi, l'impronta fortemente umoristica con una venatura di pessimismo e in assoluto la maestria nel "tende(re) naturalmente alla definizione morale di una società".
                                      




Pene d'onor perduto

Dopo la gita nel freddo inverno abruzzese, questa settimana ci spostiamo in Sicilia con una pellicola che ribolle di ardori amorosi e violenti: "Divorzio all'italiana" (1961) di Pietro Germi.

Nel fittizio paese siciliano di Agramonte vive il barone Ferdinando Cefalù, un nobile decaduto e decadente, imprigionato in un matrimonio senza sentimenti (almeno da parte sua). Innamoratosi della cugina Angela, ed essendo la legge sul divorzio di là da venire, Ferdinando intesse e cerca di mettere in pratica un elaborato piano per far sì che la moglie lo tradisca, in modo da poterla uccidere ed essere condannato alla risibile pena prevista per il delitto d'onore, con la speranza di poter sposare Angela una volta uscito dal carcere.

Il film, considerato tra i capostipiti della commedia all'italiana (che deriverebbe il suo nome proprio dal titolo della pellicola), è un autentico capolavoro di satira sociale e di costume. Agramonte e i suoi abitanti sono rappresentanti perfetti di quella parte di Sicilia (e di Italia) che già ai tempi di Verga era stata travolta dalla fiumana del progresso, e da allora non ha mai avuto la possibilità di adattarvisi: paradigmatico è l'urlo "Bottana!" che si leva nel film durante un dibattito sull'emancipazione femminile organizzato dal PCI locale.

Germi mette in scena una pellicola sarcastica e intrisa di cattiveria, scegliendo di rappresentare esclusivamente personaggi sgradevoli allo spettatore, che alla fine è quasi costretto, in questo marasma, a fare il tifo per Ferdinando Cefalù. Il barone (Marcello Mastroianni) infatti ci guida nel suo grottesco piano facendo da voce narrante, appassionata e romantica in maniera ridicola, ad un intrigo freddo e calcolato, restituendoci un personaggio ambivalente e nevrotico come la Sicilia in cui vive, divisa tra tradizione e progresso, tra onore ed amore.

venerdì 15 settembre 2017

GIRO D'ITALIA #2: ABRUZZO

Cronache di un Abruzzo dimenticato



                                                                                            
" Vi è ancora qualche scellerato, qualche persona onesta ma stupida, e per il resto la solita maggioranza di pecore e capre."

Il segreto di Luca


Nella seconda tappa del nostro giro d'Italia, dopo aver visitato la capitale, approdiamo in Abruzzo, più precisamente in provincia d'Aquila. 

Il libro di questa settimana è "Il segreto di Luca", romanzo di Ignazio Silone pubblicato nel 1956  e considerata una delle sue opere "minori", al contrario del celebre e pluri-tradotto "Fontamara".


Ambientato a Cisterna dei Marsi (AQ) narra delle vicende di Luca, che ritorna nel suo paese natio dopo oltre 40 anni di carcere ingiustamente scontati per un delitto mai commesso. La notizia del suo ritorno è visto con timore dai suoi compaesani, e la sua figura è avvolta nel mistero soprattutto a causa della sua decisione di non difendersi a suo tempo in tribunale di fronte l'accusa. 

Uomo mite e solitario, escluso per pregiudizio e paura dal resto del paese, porta seco un segreto che solo Andrea Cipriani, ex-partigiano e importante uomo politico, cercherà di scoprire nel tentativo di far luce sulla misteriosa vicenda.


La trama è molto godibile e scorrevole, e a parte qualche accenno di troppo esplicito moralismo, come sottolineato da Ferroni, la vera forza del romanzo sta nelle sue descrizioni. 
Silone infatti maschera le sue pretese etnografiche e antropologiche dietro una storia misteriosa, somigliando per certi versi in questo al "Cristo si è fermato ad Eboli" di C.Levi, e così facendo ci rende partecipi di un modo di pensare e di vivere forse estintosi per sempre, e che proprio per questo si inserisce ottimamente nel nostro percorso.


Uomini e lupi


Dopo l'afosa pausa estiva, riprendiamo il Giro d'Italia direttamente dalle nevi abruzzesi di "Uomini e lupi" (1957) di Giuseppe De Santis e Leopoldo Savona. 



Nel rigido inverno abruzzese spicca la figura del luparo, cacciatore ingaggiato dai pastori locali per proteggere il bestiame dai lupi che nel periodo più rigido dell'anno scendono famelici dalle montagne. 
La trama ruota attorno alle vicissitudini professionali e sentimentali di due lupari, Ricuccio e Giovanni, e della moglie di quest'ultimo, sul vivido sfondo di un Abruzzo rurale e montano.



La pellicola è un melodramma piuttosto classico che ruota attorno alle figure di Ricuccio e della moglie di Giovanni, Teresa, interpretata magistralmente da Silvana Mangano. La bellezza del film, merito anche del contributo in fase di sceneggiatura di Tonino Guerra ed Elio Petri, risiede tuttavia tra le pieghe e nello sfondo della vicenda melodrammatica, ovvero nella rappresentazione fedele e sincera di un Abruzzo rurale ormai destinato alla scomparsa. Il paese di Vischio, teatro degli avvenimenti, diventa paradigmatico di una parte d'Italia dimenticata dal progresso sociale e tecnologico, dove la lotta tra uomo e natura è ancora alla base della sopravvivenza e dove quindi i lupari, figure romantiche e vagabonde, possono ancora avere un significato nell'immaginario popolare.



Da non sottovalutare sono anche gli aspetti documentaristici del film: girato durante le storiche nevicate del 1956, acquisisce valore di testimonianza delle difficoltà della popolazione abruzzese in quel periodo e anche in quello attuale, dove suscita un eco sinistro la presenza di un paese terremotato all'interno della pellicola.



venerdì 28 luglio 2017

GIRO D'ITALIA #1: LAZIO

Dopo aver esplorato nelle scorse settimane il genere fantastico, iniziamo da oggi una nuova rubrica intitolata "Giro d'Italia", un viaggio letterario e cinematografico attraverso il Bel Paese con tappe in varie Regioni. I titoli che di volta in volta proporremo verranno scelti proprio per la loro capacità di rappresentare i territori in cui sono ambientati e le popolazioni che li abitano, nella speranza che tutti questi affreschi di condizioni e situazioni locali possano andare a comporre un solo grande ritratto dell'Italia.
Nel scegliere la Regione da cui far partire questo viaggio, la scelta è ricaduta per forza di cose sul Lazio, e nella fattispecie sulla città eterna, Roma.




"...un giorno, con un amico suo, aveva prestato un froscio,per rubargli un par di mila lire, e quando il compagno suo gli disse: <<Aòh,l'avemo ammazzato>> ,senza manco guardarlo,quello rispose <<E che me frega.>>"

Il primo "romanzo criminale"

Iniziando la nuova rubrica settimanale con l'intento di compiere un viaggio in giro per l'Italia, si è deciso, arbitrariamente, di partire  proprio dalla capitale, per poi diramarci nel resto della penisola. 
I Libri che parlano di Roma, in varie epoche e contesti,sono molto numerosi; dovendo sceglierne uno per cominciare, la scelta è ricaduta su "Ragazzi di vita" di P.P.Pasolini, sia per l'impatto che ebbe appena uscito sia perché ritengo ancora oggi possa insegnarci molto.

Romanzo pubblicato per la prima volta da Garzanti nel 1955, la storia si svolge nella Roma dell'immediato secondo dopoguerra con protagonisti giovani adolescenti appartenenti al sottoproletariato romano. L'opera, più di stampo saggistico-descrittivo che non narrativo, ci racconta la vita di borgata dove i protagonisti si organizzano in vere e proprie bande nell'intento di passare la giornata, in un commisto di spirito di sopravvivenza e lotta alla noia (non è da escludere infatti che molte delle malefatte commesse da questi giovani ragazzi siano più per noia che non per fame, e anche su questo punto Pasolini ci lascia molto su cui ragionare).

L'autore, sfruttando poche semplici situazioni di una parte del sottoproletariato romano, riesce a mostrare il degrado sociale che colpisce non solo la capitale ma l'Italia intera nel secondo dopoguerra.
"Ragazzi di vita" è un opera intrinsecamente politica, ci fa sbattere contro la realtà e ci lascia storditi; ancora oggi è possibile rivedere nel nostro paese uno specchio di quanto si trova nel libro (si pensi ad esempio al crollo della scuola dove erano allocati gli sfollati) e forse proprio per questa sua violenza venne accolto malamente dalla critica letteraria dell'epoca (celebri le stroncature di Asor Rosa e Cecchi per citarne alcune).

In conclusione ritengo che leggere Pasolini sia come prendersi uno schiaffo in faccia, fa male ma alle volte serve per destarsi dal sonno.




Santi di città

La scelta della voce di Pier Paolo Pasolini e delle immagini di "Accattone" (1961) per raccontare Roma è forse provocatoria, ma sicuramente non fine a sé stessa.
La pellicola, esordio cinematografico di Pasolini, racconta la storia di Accattone, un pappone la cui protetta è finita in carcere e che si trova quindi costretto a vivere di espedienti per riuscire a non morire di fame.

La storia è ambientata in una profonda periferia romana, inquadrata da Pasolini sotto forma di catapecchie fatiscenti, cantieri immobili e distese polverose, e per contro popolata invece da una umanità brulicante e viva, un sottoproletariato urbano che il regista ha deciso di elevare al di sopra della sua condizione. La critica sociale e politica verso la borghesia e la sua omologazione culturale si manifestano proprio in questa rappresentazione carica di pietas ed umanità dei diversi, di una classe sociale che vive costantemente sul filo che separa il paradiso dall'inferno, come ci conferma la citazione del Purgatorio di Dante ad inizio film.
Questo richiamo alla religione viene costantemente messo in luce nel film dai dialoghi, ricchi di espressioni religiose, da alcune  inquadrature dal carattere iconograficamente religioso e dall'uso delle musiche di Bach come contrappunto solenne alle tante situazioni miserevoli.

Anche grazie ad un uso della macchina da presa molto personale e particolare, Pasolini con "Accattone" ci regala una visione del sottoproletariato urbano romano intrisa di epos e di sacralità, che ne fanno sicuramente uno dei film più adatti per rappresentare la Città Santa.




venerdì 21 luglio 2017

RICAPITOLANDO...


Nel caso vi foste persi qualcosa

Arrivati alla decima tappa del percorso attraverso il fantastico, ricapitoliamo i titoli proposti fino ad ora!
  • #1 "La macchina del tempo" (H.G. Wells)
         "Big fish" (Tim Burton)
  • #2 "Finzioni" (J.L. Borges)
         "Metropolis" (Fritz Lang)
  • #3 "Ombre" (Tommaso Landolfi)
         "I vampiri" (Riccardo Freda)
  • #4 "Giro di vite" (Henry James)
         "Terrore nello spazio" (Mario Bava)
  • #5 "Le città invisibili" (Italo Calvino)
         "Accadde domani" (René Clair)
  • #6 "Martin il romanziere" (Marcel Aymé)
         "Il racconto dei racconti" (Matteo Garrone)
  • #7 "La metamorfosi" (Franz Kafka)
         "La mosca" (David Cronenberg)
  • #8 "Dall'inferno" (Giorgio Manganelli)
         "La casa" (Sam Raimi)
  • #9 "Il miracolo di Teofilo" (Rutebeuf)
         "Storia di fantasmi cinesi" (Siu-Tung Ching)
  • #10 "Dissipatio H.G." (Guido Morselli)
           "Tetsuo" (Shinya Tsukamoto)

Ad oggi abbiamo esplorato solo una minima parte del mondo del fantastico nel cinema e nella letteratura. Completata questa prima parte del percorso e riproponendoci nel prossimo futuro di ampliarlo, sospendiamo momentaneamente la Piccola Raccolta di Storie Incredibili e dalla prossima settimana inaugureremo una nuova rubrica settimanale tutta dedicata all'Italia!

venerdì 14 luglio 2017

PICCOLA RACCOLTA DI STORIE INCREDIBILI #10



"In città ero spettatore, qui io devo vivere. Dove sono andati. Perché sono andati."

Dissipatio M.G.


Il libro di questa settimana è "Dissipatio H.G." romanzo scritto da Guido Morselli e pubblicato postumo nel 1977 da Adelphi. Rappresenta l'ultimo romanzo di questo sfortunato scrittore (tutti i suoi libri verranno pubblicati postumi), precedente di qualche mese il suo suicidio.

Il titolo viene spiegato dall'autore stesso all'interno del libro ed è ispirato dal filosofo neoplatonico Giamblico; la sigla H.G. sta infatti per Humani Generis ("del genere umano") e dissipatio si può tradurre in "evaporazione". 
Difatti il libro è un romanzo di fantascienza post-apocalittica in cui il protagonista, dopo un tentativo fallito di suicidio, si ritrova unico abitante del globo terrestre. Non viene spiegato, e non è neanche importante dopotutto, il motivo di questa sparizione improvvisa dell'umanità e una volta accettatone il destino il protagonista si trova a ragionare sulla sua vita e sul concetto stesso di esistenza, sfiorando più volte la tematica del suicidio. 

Morselli tramite questo romanzo ci lascia una sorta di testamento poetico e filosofico del suo credo, una sorta di regolamento dei conti ma, ironia della sorte, senza morti e feriti,  piuttosto con una calma e una lucidità invidiabile (come ricorda lo stesso Manganelli in una recensione al libro). 
Giocando sul rovesciamento dei termini (il suicida è vivo e i vivi sono morti), l'autore ci regala pagine di pensieri memorabili su diversi temi, dalla società contemporanea alla antropologia,dalla filosofia all'ecologismo.

Autore per nulla (ri)conosciuto in vita, oggi entrato di diritto nel canone dei classici della letteratura italiana, la sua lettura si pone  sempre come una sfida e perciò assolutamente stimolante e consigliata.





Mutazione meccanica

Dopo esserci addentrati nel cinema di Hong Kong la scorsa settimana, rimaniamo ancora questa in estremo Oriente, per parlare di uno dei capostipiti del cinema cyberpunk giapponese: "Tetsuo" (1989) di Shinya Tsukamoto.

Un uomo, feticista del metallo, viene investito in strada da un modesto impiegato, che a seguito dell'incidente comincerà a trasformarsi gradualmente in un uomo-macchina, di cui ogni parte del corpo verrà inesorabilmente sostituita da freddo metallo.

Partendo da questa trama apparentemente semplice e scarna, Tsukamoto compie una serie di veri e propri atti di violenza verso lo spettatore, sia sul piano narrativo che sul piano visivo.
Dal punto di vista narrativo, la fabula e l'intreccio tendono a non coincidere mai, con una narrazione continuamente inframezzata da deliri e visioni del protagonista, che accompagnano la sua lenta trasformazione in macchina.
Dal punto di vista visivo, il regista sopperisce alla scarsità di fondi con una inventiva sconfinata e allucinata, utilizzando in maniera geniale la ripresa in stop motion, un trucco e dei costumi perfetti e un bianco e nero sporco ma calzante.

Dichiaratamente ispirato dai film di Cronenberg, Tsukamoto reinventa in chiave cyberpunk il tema della mutazione, per esternare in maniera violenta la sua paura per la dipendenza dell'uomo dalla tecnologia. Qui si compie l'atto di violenza più forte nei confronti dello spettatore, ovvero il costringerlo ad assistere senza censure alle estreme conseguenze del rapporto malsano tra uomo e macchine, culminante nell'iconica scena che potete ammirare nell'immagine qui sopra: l'orrendo uomo-macchina, nell'assumere la posa della statua della libertà, proclama l'inizio della sua crociata per la conquista dell'umanità.

venerdì 7 luglio 2017

PICCOLA RACCOLTA DI STORIE INCREDIBILI #9





"...lui fa l'orecchio da mercante, | e non si cura delle mie quisquilie. | Da parte mia gli farò uno sberleffo. | Vergogna a chi è contento di servirlo!"

Il primo patto con il diavolo


Il libro di questa settimana è "Il miracolo di Teofilo" (Edizioni dell'Orso), dramma liturgico in francese antico di Rutebeuf (messo in scena tra il 1263-64). 



Vi si racconta la storia di san Teofilo di Adana, della quale girarono diverse versioni nel corso degli anni, tra cui una molto celebre contenuta nella Legenda aurea. La leggenda godette di larghissima popolarità per tutto il medioevo, inoltre si può considerare una delle prime opere in letteratura ad introdurre "il patto" con il diavolo.



La trama parte proprio con il pio Teofilo che, destituito dalla sua carica dal nuovo vescovo , rinnega il proprio Dio e pieno di rancore riesce a incontrare Salatino, un ebreo capace di interagire con il diavolo.  

Grazie alla mediazione e all'incontro con il diavolo, il protagonista firma un patto con il sangue in cui certifica la sua abiura e l'asservimento al nuovo padrone; grazie a ciò il giorno successivo torna nelle grazie del vescovo e riottiene la carica perduta.
Dopo sette anni Teofilo però si pente del suo gesto e chiede l'intercessione della Vergine, la quale in prima istanza lo sgrida, poi resasi conto del suo sincero pentimento si promette di recuperare il documento del patto. 
La storia si concluderà proprio con il recupero della "charte" e la sconfitta del diavolo, permettendo al futuro santo di morire in possesso della propria anima.


L'elemento del fantastico è qui ben diverso dalle opere viste in precedenza, è un soprannaturale ancora ancorato alla religione, feudale, con una trama e uno stile relativamente semplici senza alcun tipo di indagine psicologica nella reazione dei personaggi. Interessante da notare l'insistenza del diavolo nel firmare un documento per attestare la servitù di Teofilo, quasi fosse una pratica burocratica a tutti gli effetti, ritrovandoci di fronte ad un vero e proprio atto di vendita notarile (acutamente Orlando in un suo saggio fa notare come agli occhi di un contemporaneo ciò risulti molto strano, questo a causa di una visione religiosa resasi negli anni più metafisica e spiritualizzata). 



L'opera si inserisce bene nel percorso del fantastico per la sua importanza storica, essendo uno dei primi racconti al soprannaturale ad ottenere ampio successo in giro per l'Europa e a introdurre il topos letterario del patto con il diavolo.


Dalla Cina con orrore

Se la scorsa settimana abbiamo parlato dei demoni "evocati" da Sam Raimi nei boschi americani, oggi riprendiamo il tema spostandoci però nell'estremo oriente con "Storia di fantasmi cinesi" (1987) di Siu-Tung Ching.

La pellicola, ambientata in un Medioevo fantastico, vede come protagonista il giovane esattore delle tasse Ning, spedito a raccogliere i tributi in una sperduta cittadina ai confini dell'Impero. Squattrinato e inumidito dalla pioggia che lo accoglie in paese, Ning decide di soggiornare in un tempio abbandonato, senza sapere che in realtà questo è dimora di fantasmi e demoni per nulla intenzionati a lasciarlo in pace.

Il film che prende il via da questo spunto di trama è uno dei gioielli della produzione di Hong Kong, un sapiente mélange di svariati generi cinematografici: si spazia dal film horror alle arti marziali, passando per il melodramma e la commedia, senza mai snaturare il film o i generi che esso contiene.
Il parallelo con Raimi fatto all'inizio non è casuale e si fa più forte ancora nel vedere i tanti spunti che Siu-Tung Ching prende dal regista americano (basti guardare la primissima scena e si riconoscerà la carrellata iconica de "La casa") adattandoli però alla sua ipercinetica idea di cinema e alle tradizioni sia della cultura cinese che del cinema di Hong Kong.

È proprio in questo saper mescolare con mestiere un grandissimo numero di influssi, di generi e di ispirazioni che si ritrova la forza del film, che rimane ad ora uno dei film di intrattenimento più interessanti della poliedrica produzione made in Hong Kong.

venerdì 30 giugno 2017

PICCOLA RACCOLTA DI STORIE INCREDIBILI #8



Inferno barocco

"Non so che mai sia l'inferno; io soggiorno da sempre in questo nonluogo; diciamo che sono un socio fondatore."


Il libro di questa settimana è "Dall'inferno" di Giorgio Manganelli (Biblioteca Adelphi), pubblicato per la prima volta nel 1985. 

Autore di numerose opere dalla trama e dalla forma complessa, da un lato ricorda molto Borges per il tentativo di mistificare la realtà attraverso il costante lavorio della scrittura ("Letteratura come menzogna"), dall'altra Landolfi per un certo gusto nel maneggiare la lingua italiana e perciò si inserisce perfettamente nel nostro percorso. 

L'opera è la storia di un viaggio in un inferno (o per meglio dire un non-luogo) atipico, senza fiamme né diavoli, senza dannati e senza colpe ma ciononostante sempre un luogo inquietante. Ad accompagnare il protagonista non si troverà un paterno Virgilio ma un ambiguo cerretano, non l'amata Beatrice ma una bambola-parassita poco rassicurante e durante lo stesso viaggio non gironi, colpe e dannati ma "minuti esseri" dalle forme e sembianze più strane.

Fra i romanzi dell'autore è certamente, come ricorda l'editore, il più audace sia nella forma che nel contenuto. Nonostante la sua difficile lettura (Arbasino vedeva in Manganelli un" neo-seicento iper-barocco") in un percorso sul fantastico non può mancare quest'ingegnosa opera, frutto di un grande talento letterario, forse il più retoricamente nevrotico del '900.



Il demone sotto le foglie

Se nella parte letteraria abbiamo affrontato un viaggio verso un atipico inferno, perché allora non ribaltare la prospettiva e vedere cosa succede quando i demoni vengono a visitare gli uomini e non viceversa?

Il film di questa settimana è dunque "La casa" (1981), esordio alla regia di un ventiduenne Sam Raimi. La pellicola vede cinque ragazzi andare a trascorrere le vacanze in una casetta nel bosco, dove per errore richiameranno alla vita dei demoni leggendo alcune pagine del "Necronomicon" (libro dei morti) di lovecraftiana memoria. Da qui partirà una notte di assedio da parte delle forze del Male, a cui i nostri protagonisti dovranno resistere almeno fino all'alba.

Il film è un'assoluta pietra miliare sia per quanto riguarda la produzione dello stesso Raimi, in quanto contiene già in potenza tutto ciò che andrà a comporre il suo stile eccessivo e parodistico, sia per il genere horror, che attingerà in futuro a piene mani da molte delle originalissime soluzioni visive e registiche di questo film. 
Le carrellate ondeggianti attraverso il bosco, le riprese fuori asse in stile fumettistico, gli zoom esasperati e le prospettive parossistiche vanno tutti a comporre un film votato all'eccesso (se non proprio alla parodia) ma che ciononostante non smette di inquietare anche lo spettatore più navigato, a trentasei anni dalla sua uscita.

Si consiglia anche di vedere "La casa 2" (1987), più remake che sequel del primo, girato dallo stesso Raimi, che sfrutta il budget più elevato per portare alle estreme conseguenze il suo personalissimo stile, regalandoci un film ancora più eccessivo nelle soluzioni e parodistico negli intenti.

venerdì 23 giugno 2017

PICCOLA RACCOLTA DI STORIE INCREDIBILI #7


Educazione kafkiana
"Quando Gregor Samsa si svegliò una mattina da sogni agitati, si trovò trasformato, nel suo letto, in un enorme scarafaggio"

Il libro di questa settimana è "La metamorfosi" di Franz Kafka,  consigliato nella edizione Universale Economica Feltrinelli. L'opera, pubblicata per la prima volta nel 1915, è certamente il racconto più noto dello scrittore boemo e rappresenta una vera pietra miliare della letteratura mondiale.

La storia inizia con il protagonista, Gregor Samsa, che, svegliatosi la mattina, si ritrova trasformato in un gigantesco scarafaggio; da qui in avanti la storia si svolge del tutto naturalmente, da un lato nel tentativo da parte del protagonista di adattarsi alla nuova particolare situazione, dall'altro nel tentativo, almeno iniziale, da parte dei suoi famigliari a conviverci (vivendo Gregor insieme ai genitori e alla sorella).

Nel corso degli anni sono state proposte diverse teorie riguardo il significato allegorico del racconto, la più sostenuta delle quali scruta nelle intenzioni dell'autore la volontà di rappresentare l'emarginazione del "diverso" (lo scarafaggio) e la sua dura condanna da parte della società. 

Racconto ricco di spunti tematici, dal tema dell'alienazione a quello dell'ambiguità a quello del rapporto padre-figlio, quello che forse non si sottolinea mai abbastanza è la "forza" ivi presente del soprannaturale, un vero e proprio "pugno nel tavolo" come lo descrive Orlando, gettato con violenza fin dall'inizio dall'autore subito e tutto, senza peraltro mai spiegarne i motivi; il lettore deve accettare questa condizione imposta, pena l'interruzione della lettura.

In conclusione, leggere Kafka non è solo stimolante intellettualmente per tutti gli spunti e le tematiche che vi si trovano ma anche un atto di violenza, cui tutti almeno una volta nella vita dovrebbero sottoporsi.



L'esperimento del dottor C.
"Sono un insetto che ha sognato di essere un uomo e gli era piaciuto. Ma adesso il sogno è finito."
(Seth Brundle, uomo-mosca)

Il tema della metamorfosi è troppo affascinante per non cogliere la palla al balzo e, prendendo spunto dal racconto di Kafka di cui si è appena parlato, proporre "La mosca" (1986) di David Cronenberg.

La pellicola è un remake del celeberrimo "L'esperimento del dottor K." (1958), anche se parlare di remake è forse banalizzante nei confronti dell'opera di Cronenberg. È indubbio però che il fulcro narrativo sia lo stesso per entrambi i film: un incauto scienziato progetta e realizza una macchina per il teletrasporto. Nel provare su sé stesso il funzionamento della stessa, entrerà malauguratamente dentro il macchinario assieme ad una mosca, uscendone mutato in un essere a metà tra uomo e mosca.

Il consiglio è di vedere entrambe le pellicole, sia perché di sicuro valore cinematografico, sia per poter apprezzare meglio le modifiche e l'impronta che Cronenberg ha voluto lasciare su questo classico del cinema horror.
Il regista canadese ha infatti trovato nel film un soggetto perfetto da inserire nella sua poetica della mutazione: non a caso, a differenza del film originale, il nostro scienziato non uscirà dalla macchina praticamente già trasformato, ma andrà incontro ad un inesorabile processo di mutazione fisica e mentale che il regista non si risparmia dal mostrarci nei suoi minimi dettagli.
Coadiuvato da un trucco che gli è valso il premio Oscar nel 1987, Cronenberg ci mostra tutta l'orribile metamorfosi del protagonista nel suo stile asciutto e asettico, mostrando però in alcune scene una insolita (per lui) adesione emotiva nei confronti dell'unico esemplare della nuova specie di uomini-mosca, paradigmatico nel rappresentare l'ossessione del regista nei confronti del corpo e delle sue aberrazioni. 
A testimoniare quanto il tema della mutazione sia centrale per il suo cinema, il regista appare qui nel suo unico cameo all'interno di una sua pellicola: interpreta infatti il ginecologo che aiuta la fidanzata del protagonista a partorire una mostruosa larva in un incubo della donna. Difficile non interpretare la scelta come l'assunzione, da parte di Cronenberg, della responsabilità di portare alla luce attraverso il suo cinema le orrende mutazioni della nuova carne.

venerdì 16 giugno 2017

PICCOLA RACCOLTA DI STORIE INCREDIBILI #6


Ironie Française

"Non appena si avvicinava agli ultimi capitoli, gli eroi dei suoi romanzi gli si sgretolavano tra le mani. Provava in tutti i modi a metterli in salvo, ma c'era sempre qualche fatalità che glieli portava via."


Il libro di oggi è "Martin il romanziere" di Marcel Aymé, raccolta di racconti pubblicata recentemente da L'orma editore. Autore oggi poco conosciuto, Aymè è quello che si può considerare a tutti gli effetti un "classico minore", da riscoprire, nonostante la fama e gli attestati di stima (apprezzato da Queneau e Simenon tra gli altri) durante la sua attività letteraria.



I racconti all'interno di questo libro sono stati tratti da 4 diverse raccolte, tutte edite in Francia da Gallimard, e risultano l'approccio migliore all'autore essendo la storia breve la forma in cui riesce meglio a mostrare il suo stile e a sprigionare la sua fantasia. 

Aymé é difatti un autore "fantastico" e "ironico" nei veri sensi dei termini, riuscendo spesso attraverso lo sfondo fantastico, a volte propriamente paradossale, dei suoi racconti a mostrare lati della società e inclinazioni dell'animo umano, e ad analizzarli con un acume e un ironia unici nel suo tempo.


A esempio di quanto riportato sopra basti pensare all'assurdità che fa da sfondo a  "La carta del tempo" , nel quale si ipotizza l'utilizzo di una carta che ridurrà il tempo vitale dei soggetti "inutili", per far fronte alle difficoltà economiche della guerra, garantendogli solo un certo numero di giorni di esistenza ogni mese oppure all'incredibile ubiquitarietà di "Sabine" o alla particolare condizione di "Martin il romanziere" di non riuscire a terminare un opera senza la morte dei suoi protagonisti.


In conclusione consiglio vivamente di scoprire la lettura di Aymé, autore certamente sottovalutato, che in un continuo turbinio di risate e colpi di scena riesce, in un modo o nell'altro, a colmare un vuoto in una ideale biblioteca del '900: quello dell'ironia.


I racconti di un racconto

In questa nostra cavalcata all'interno del fantastico abbiamo per ora tralasciato un intero sottogenere che spesso viene fatto coincidere col genere stesso: il fantasy. 

Partiamo quindi per questa esplorazione di mondi lontani e magici con un titolo a noi vicinissimo nel tempo e nello spazio: "Il racconto dei racconti" (2015) di Matteo Garrone.
Adattamento di racconti tratti dalla raccolta di fiabe "Lo cunto de li cunti" di Giambattista Basile, il film mette in scena tre episodi distinti, uniti da due fili: uno di trama piuttosto sottile e uno di intenti decisamente evidente. 
In tutti e tre i racconti abbiamo dei regnanti come protagonisti: nel primo una regina ossessionata dal desiderio di maternità, fino alle estreme conseguenze; nel secondo un re, schiavo dei propri desideri carnali e vittima delle trame di due avide sorelle; ed infine nel terzo un regnante talmente assorto nell'accudire una pulce gigante da negligere completamente la sua unica figlia.

Garrone dimostra con questa pellicola di avere ben presente che nel fantasy l'estetica deve avere una dignità almeno pari con la narrazione: il film è un vero piacere per gli occhi, con inquadrature mai banali o patinate. Ad aiutarlo in questo una cura scenografica, fotografica e del trucco assolutamente di primo livello, con un ricorso rarissimo alla computer grafica. 
Venendo invece alla narrazione, il trait d'union dei tre episodi consiste nella rappresentazione dell'ossessione e nel desiderio senza confini o ritegno che provano i nostri protagonisti, ciascuno rivolgendolo ad oggetti diversi. Il film ci riporta così da un mondo magico e fatato rapidamente indietro nella nostra realtà e umanità, con tutte le sue aberrazioni, spogliandosi dell'epicità di solito riservata a questo genere di film e restituendoci quindi dei racconti di un racconto: quello del genere umano.






venerdì 9 giugno 2017

PICCOLA RACCOLTA DI STORIE INCREDIBILI #5





Poesie metropolitane


"cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio."


Il libro di oggi è "Le città invisibili" di Italo Calvino, romanzo sui generis pubblicato nel 1972. L'autore infatti concepì il libro mediante l'utilizzo della tecnica combinatoria, in modo tale il lettore si sentisse parte centrale dell'opera e giocasse con la stessa alla ricerca di combinazioni nascoste tra i vari capitoli.

Ambientato ai tempi della corte di Kublai Khan, il libro si presenta "come una serie di relazioni di viaggio che Marco Polo fa a Kublai Kan imperatore dei Tartari" (I.Calvino). Suddiviso in 9 capitoli, ognuno dei quali preceduto e seguito da una serie di riflessioni che si scambiano i due protagonisti, le varie città raccontate mostrano dei tratti tra loro comuni e vengono raggruppate in 11 serie, da 5 pezzi, alternate tra loro.
Grazie alla struttura dell'opera il lettore può decidere come meglio leggerla, seguendo o un raggruppamento o la divisione in capitoli o saltando liberamente da una città all'altra.

Nelle città invisibili non si trovano città reali, sono tutte inventate da Marco Polo in risposta alle domande sul enorme regno tartaro da parte dell'imperatore. Ogni città ha il nome classicheggiante di una donna, e dovrebbe fornire uno spunto di riflessione sulla città in generale.
Nell'opera infatti, per bocca dello stesso autore, tra la descrizione di una città ed un altra, si svolge "ora implicita ora esplicita, una discussione sulla città moderna...Che cosa è oggi la città, per noi? penso di aver scritto qualcosa come un ultimo poema d'amore alle città", e forse il miglior modo per leggere il libro è proprio come fosse una raccolta di poesie, una delle migliori del secondo novecento.






Profezie giornalistiche

Finora abbiamo proposto titoli tutto sommato cupi, a parte forse il primo consigliato, con poco spazio per commedia e leggerezza. Allora il titolo adatto a sdrammatizzare un po' quest'aria di fatalismo orrorifico/scientifico è "Accadde domani" (1944) di René Clair. 
In questa graziosa commedia fantastica, un giornalista comincia a ricevere ogni sera una copia del giornale della sera successiva, recapitatogli dall'archivista del giornale in cui lavora. Questa possibilità di sbirciare nel futuro fa ovviamente gola al nostro protagonista, che però col passare dei giorni e delle peripezie in cui si trova coinvolto, comincia a capire di aver ricevuto una maledizione più che un dono.

Clair, tra i maestri del cinema francese e mondiale, ci regala una commedia leggiadra e forse un po' ingenua, ma così delicata da creare una perfetta commistione tra fantastico e realistico, senza forzature che possano minare la sospensione dell'incredulità dello spettatore. 
Di particolare interesse sono anche la struttura stessa del film, dove la storia principale, ambientata nel 1903, è in realtà un flashback partito dal 1953 (10 anni dopo la realizzazione del film!) e tanti altri piccoli paradossi temporali, come la scena riportata in figura, dove al protagonista viene fatto notare che, essendosi seduto sugli archivi del giornale, è piombato in pieno 1843. 
Tutte queste inversioni paradossali tra "prima" e "dopo" sono richiami evidenti a quelle che saranno le vicende del protagonista, che cercherà di sfruttare queste bizzarre successioni temporali senza considerare che la veggenza, così come la conoscenza, porta con sé anche terribili conseguenze. 




venerdì 2 giugno 2017

PICCOLA RACCOLTA DI STORIE INCREDIBILI #4



Possono i libri far ancora paura?



"Potete immaginare che cosa fossero le mie notti, a partire da quella"


Il libro di oggi è "Giro di vite" di H.James nella traduzione di Fausta Cialente (ET classici Einaudi), romanzo breve pubblicato originariamente nel 1898 considerato tra i più celebri dello scrittore statunitense. 

Ambientato nell'Inghilterra vittoriana, il narratore è una giovane istitutrice cui vengono affidati due bambini, Flora e Miles, rimasti orfani e consegnati alle cure dello zio, il quale non avendo tempo per crescere i due li ha stabiliti in una dimora in campagna. 
In questo ambiente isolato dal mondo, e ricco di caratteristiche ambientali proprie del "gotico", la giovane protagonista sarà testimone di una serie di terribili apparizioni e cosa ancora peggiore si renderà conto che proprio i giovani fanciulli ne sono il bersaglio. 
Proprio nel rendere vittime di una storia di fantasmi due bambini consiste il "giro di vite" che James opera nel romanzo, intendendo con questa espressione "intensificare, aumentare il terrore".

Descritto inizialmente dallo stesso autore come "a bona fide ghost story", il romanzo intreccia magistralmente gotico e psicologico; ciò che pare veramente interessare James non è tanto la storia in sé o quanto credito il lettore darà alle parole dell'istitutrice o se la crederà pazza, ma come di fronte all'orrore reagisca l'animo umano.

Per tornare alla domanda nel titolo, in un mondo talmente dominato dalle immagini e dalla istantaneità con cui vengono condivise, verrebbe da rispondere di no, ma in seguito alla lettura di "Giro di vite" la risposta non pare tanto scontata.




Urla nello spazio

"Domani seppelliremo Garr; dovremo lasciare un'altra tomba su questo pianeta ostile"(Capitano Mark Markary)
Dopo due uscite dedicate rispettivamente a fantascienza e horror, è arrivato il momento di andare a vedere l'effetto che fanno questi due generi quando sono mischiati in maniera sapiente. 

Il film della settimana è "Terrore nello spazio" (1965) di Mario Bava, regista cui avevamo già accennato nella scorsa uscita. La pellicola vede protagonisti degli esploratori spaziali che, giunti sulla superficie di un pianeta sconosciuto con due astronavi, cadono vittime di una temporanea follia omicida. L'equipaggio di una delle due navicelle riuscirà ad uscirne indenne, mentre l'altra nave vedrà morire tutti i suoi occupanti. Mentre il capitano Markary e il suo equipaggio tenteranno di chiarire il mistero di questo pianeta, i loro compagni appena seppelliti, tornati apparentemente in vita, cercheranno di impadronirsi delle astronavi e dei loro occupanti.

Considerato uno dei capolavori della fantascienza italiana, "Terrore nello spazio" ci regala una prova magistrale di Bava, sia nelle vesti di regista, dove dimostra la sua bravura nel tenere alta la tensione fino ad un finale amaro ed ironico tipico del suo stile, che di capo degli effetti speciali, che ci spingono per tutta la pellicola a chiederci come sia riuscito a realizzarli.
Sebbene ci siano alcune ingenuità tipiche della fantascienza d'epoca, allo spettatore appassionato del genere questo film darà ogni sorta di soddisfazione: da un lato per la ripresa di alcuni temi classici del sci-fi, dall'altro per alcune innovazioni visive e narrative di livello assoluto (tanto da ritrovarle ben quattordici anni dopo in una delle pietre miliari del fanta-horror, "Alien" di Ridley Scott).
In conclusione, anche se "nello spazio nessuno può sentirti urlare", possiamo almeno essere certi che alcune di queste urla sono in italiano!

venerdì 26 maggio 2017

PICCOLA RACCOLTA DI STORIE INCREDIBILI #3



Una scrittura "fastidiosa"


"[...]io avevo una sorta di religioso, e superstizioso, amore e terrore delle parole" 
( Tommaso Landolfi )

Il libro di oggi è "Ombre" di T.Landolfi, raccolta di racconti e articoli pubblicata per la prima volta nel 1954 da Vallecchi e riproposta nella collana Biblioteca Adelphi della omonima casa editrice nel 1994.

Autore di difficile inquadramento all'interno del panorama letterario italiano, i suoi racconti sono propriamente delle composizioni fantastiche nate da una riflessione critica della realtà, in grado di provocare un vero e proprio smarrimento nel lettore. 

Esemplari a questo proposito le novelle intitolate "Ombre", "La moglie di Gogol'" e "Lettere dalla provincia"; la loro lettura risulta "fastidiosa" proprio nella misura in cui l'autore riesce a cortocircuitare l'equilibrio tra credito e dubbio che caratterizza normalmente il fantastico, con il risultato di rimanere sempre sbalorditi e spaesati alla fine del racconto. 

Il mio racconto preferito è "La moglie di Gogol'", dove il narratore, presentatosi come amico/biografo di Gogol', ci narra della incredibile storia sentimentale tra il famoso scrittore e sua moglie ( peraltro mai avuta nella vita reale). Suddetta moglie si presenta come una bambola gonfiabile, modificabile a piacere secondo la libido e i gusti del marito; preso da una passione incredibile e sfiancato dalla complessità del rapporto, alla fine Gogol' decide di mettervi fine nella maniera più tragica possibile: facendo scoppiare la bambola e bruciandone i pezzi (analogamente a parte dell'opera dell'autore russo buttata nel fuoco e persa nell'oblio).

In conclusione, essendo Landolfi oggi poco noto al grande pubblico, sopratutto per la sua scrittura molto raffinata e "aristocratica" spesso di difficile comprensione, pare opportuno cercare di riportarlo in auge proprio per evitare che la sua eredità, proprio come la moglie di Gogol', venga "carbonizzata". 




Terrore all'italiana

"Mi chiamo Joseph Signoret. Loro mi hanno costretto ad aiutarli e dopo invece mi hanno ammazzato"

Tra le principali tangenti che l'uomo ha preso nell'abbandonare il circolo delle sue certezze razionali vi è quella dell'orrore. Il terrore ha fin da subito fatto prepotentemente capolino nel cinema fantastico, quel terrore ancestrale che l'uomo si porta dentro da "quando le fiere facevano sentire i loro ruggiti nel buio e le tempeste atterrivano gli uomini accucciati nelle caverne" (per usare le parole dell'autore che fra poco affronteremo). 

E allora iniziamo, un po' per meriti storici e un po' per patriottismo, a trattare l'orrore partendo da "I vampiri" (1957) di Riccardo Freda. 
La trama prende il via da una serie di misteriosi omicidi: alcune giovani donne vengono rapite e ritrovate, giorni dopo, uccise e completamente prive di sangue; sulle tracce dell'efferato assassino si mettono un giornalista e un ispettore di polizia. 
La pellicola, considerata il primo vero film dell'orrore italiano, è un ibrido tra film poliziesco e film gotico/horror, che si diverte a trarre in inganno lo spettatore già dal titolo: la soluzione del mistero sarà in realtà più fantascientifica che "vampiresca" nel senso popolare del termine. 
Il film trova la sua potenza nella dimensione visiva, resa indimenticabile dai tuttora incredibili effetti speciali a cura di Mario Bava (che ritroveremo più avanti nella rubrica nelle vesti di regista), e nell'equilibrio delicato che riesce ad ottenere tra razionale ed irrazionale. 
Un inizio di tutto rispetto per la scuola italiana dell'orrore, che tanto avrà da insegnare negli anni successivi.

venerdì 19 maggio 2017

PICCOLA RACCOLTA DI STORIE INCREDIBILI #2



Gioco di specchi

"Sii cosciente del fatto che la fantasia è sorella della menzogna, e perciò pericolosa" 
(Danilo Kis, Homo Poeticus)

Il libro di oggi è "Finzioni" di J.L.Borges (di cui consigliamo l'edizione Adelphi), raccolta di racconti scritti tra il 1935 e il 1944; nello specifico tratterò la mia novella preferita, nonché una delle più celebri: "Tlön,Uqbar, Orbis Tertius".

Il racconto inizia con una conversazione tra lo stesso Borges e il suo amico letterato Bioy Casares, con il primo colpito da una citazione di un misterioso eresiarca fatta dal suo amico in seguito alla visione di un "inquietante" e "mostruoso" specchio che riflette la stanza. Chiedendo delucidazioni, il narratore da qui in avanti si districherà in un vero e proprio labirinto bibliografico alla ricerca della veridicità dell'esistenza dell'eresiarca e della sua misteriosa patria: Uqbar. 
Procedendo nella sua ricerca, Borges non solo ottiene difficoltosamente informazioni su questo luogo misterioso, ma addirittura viene a scoprire l'esistenza di un intero mondo sconosciuto chiamato Tlön, di cui Uqbar fa parte. 
Questo porta a discussioni estese sulla lingua e la filosofia di Tlön, fino ad un finale sorprendente dove nel mondo reale iniziano ad apparire oggetti Tlöniani, iniziando di fatto la realtà cedere all'idea.

L'autore mescola magistralmente realtà e finzione, fino a rendere complicato per il lettore stesso riconoscere cosa sia vero oppure no ( interessante notare l'utilizzo di "documenti" da parte di Borges per dare un tono di veridicità al racconto, tecnica usata frequentemente dal poeta in tutta la sua produzione ).
Il racconto tratta di temi filosofici e linguistici in chiave fantastica, fino ad essere inteso da parte di alcuni critici come trattazione dell'idealismo Berkeleyano, da altri spassionata critica al materialismo; indubbiamente però l'autore ci porta a ragionare sul rapporto tra realtà e idee e sulla loro capacità di influenzarsi reciprocamente, come mostra chiaramente il finale del racconto.

In conclusione, leggere Borges non solo è piacevole e stimolante intellettualmente ma anche, per usare le parole di H.Bloom, "una lezione su come leggere tutti i suoi precursori".



Il seme della pianta futura

Muoversi all'interno del fantastico e districarsi tra le mille invenzioni dell'umana fantasia non è mai facile, occorre sempre cercare un punto fermo a cui approdare o da cui salpare. Per il cinema fantastico sicuramente uno dei porti più sicuri da cui partire è la fantascienza: già dagli esordi della settima arte la fantascienza faceva capolino con le pellicole di Méliès. Pur essendo esempi mirabili e di interessante sperimentazione, questo tipo di fantascienza era ancora legata ad una concezione favolistica e fantasiosa del genere. 

È con "Metropolis" (1927)1 di Fritz Lang, che la fantascienza comincia ad avere le basi e i canoni del genere che oggi intendiamo. Nell'anno 2026 un gruppo di ricchi industriali domina la futuristica città di Metropolis, mentre la classe proletaria lavora incessantemente nei sotterranei cittadini per far funzionare gli elaboratissimi macchinari che permettono alla città stessa di continuare ad esistere. Il figlio del miliardario imprenditore-dittatore di Metropolis, resosi conto delle condizioni inumane delle classi operaie, tenterà di cambiare l'ordine sociale con l'aiuto della maestra Maria, di cui si è follemente innamorato.
Mirabile esempio di fantascienza espressionista e futurista, la pellicola è una fucina di spunti tecnici, narrativi e di riflessione (nonostante la stroncatura di H.G. Wells)2. A partire dall'incredibile scenografia, proseguendo attraverso il tema del doppio, tanto caro a Lang, visto in chiave tecnologica, per finire con una commistione tra scienza e fantastico esoterico sbalorditiva, il film può essere considerato una delle cellule staminali della fantascienza che verrà. Abbandonati (anche se non del tutto) i vecchi lidi della fantascienza favolistica, il viaggio verso un genere più solido, più "serio" e forse per questo più inquietante, parte proprio dalla città di Metropolis.


1. Le versioni esistenti sono molteplici: la versione originale della pellicola andò perduta nella Seconda Guerra Mondiale. La pellicola pervenutaci è di 117 minuti, recentemente restaurata nella versione più simile all'originale, raggiungendo così la durata di 148 minuti.
Da segnalare anche la versione ridoppiata, colorizzata e con colonna sonora curata da Giorgio Moroder (1984, 87 min).


2. Qui il link alla recensione completa in lingua originale che H.G. Wells fece per il New York Times