L'argomento
della Resistenza è di per sé complesso e ricco di materiale.
Attraverso la proposta di una scelta di libri e di film intendiamo
cercare di rispondere ad alcune questioni oggi più che mai urgenti:
che cosa è stata la Resistenza? È riuscita nei suoi intenti
iniziali? Qual è il suo rapporto con la nostra democrazia e la
nostra Costituzione? Bisogna ancora oggi resistere?
Nel corso degli
anni più generazioni di intellettuali hanno provato a rispondere a
queste domande, e oggi noi, in prossimità della Festa di
Liberazione, sentiamo il bisogno di recuperare questi interrogativi.
Attraverso due
percorsi distinti, ma che corrono su binari paralleli, proveremo a
esplorare il fenomeno della Resistenza.
Resistenza: il movimento di lotta popolare, politica e militare che si determinò durante la Seconda Guerra Mondiale (1939-1945) nelle zone occupate dagli eserciti tedesco e italiano contro gli invasori esterni e contro i loro alleati interni e che a seconda dei Paesi ebbe caratteristiche, finalità e anche intensità diverse.(Enciclopedia Treccani online)
In Italia la
Resistenza fu un movimento non solo di liberazione contro l'invasore
nazista ma anche contro la Repubblica Sociale italiana, alleata con
l'esercito occupante; questa lotta su un duplice fronte ha fatto
assumere alla Resistenza anche i connotati di una guerra civile,
segnando definitivamente la Storia d'Italia.
LETTERATURA E RESISTENZA
Nell'immediato dopoguerra l'esigenza di mettere per iscritto
sensazioni ed esperienze personali appena passate divenne un bisogno urgente
per gli italiani, e questo è ben evidente dall'abbondanza opere che ha per tema l'esperienza della
lotta partigiana.
La maggior parte di queste produzioni furono fortemente
autobiografiche e improntate ad un resoconto il più possibile aderente alla
realtà, come nel caso di “L'Agnese va a morire” della Viganò o in “I
piccoli maestri” di Meneghello. La forza di questo genere di opere è
l'importanza storica della testimonianza che ci lasciano, con una menzione
speciale per “l'Agnese” avendo come protagonista una lavandaia di mezza età e
ricordandoci che la lotta fu degli uomini quanto delle donne.
A fianco a questo genere di opere, sempre con una matrice
autobiografica chiara, vi sono alcuni dei capolavori della letteratura italiana
del secondo '900: “Una questione privata” di Fenoglio; “La casa in
collina” di Pavese; “Uomini e no”
di Vittorini.
Fenoglio è forse , non a torto, il più grande cantore della
resistenza e “Una questione privata” l'opera certamente più riuscita ;la
vicenda ha come sfondo la guerra di resistenza nelle Langhe con protagonista un
giovane partigiano di nome Milton. Il protagonista è innamorato di una giovane
di nome Fulvia e spinto dal dubbio che ella abbia avuto una relazione con il
suo migliore amico parte alla ricerca di quest'ultimo ( e possibilmente della
verità ); il clima quasi cavalleresco del libro con lo sfondo storico della
lotta partigiana rivela come la storia personale di ognuno di noi si unisca
alla Storia universale in un continuum indistinguibile.
Pavese invece con “la casa in collina” mostra l'altra faccia
della medaglia: quella del disimpegno;infatti il protagonista è un professore
che vive con apatia e indifferenza il periodo della resistenza e nei suoi
spostamenti in collina cerca di risolvere la sua “crisi esistenziale”. Scritto
più filosofico che politico,dalla trama fantastica,è sicuramente un libro da
leggere per capire meglio la resistenza e il rapporto degli intellettuali con
essa.
Con Vittorini invece la questione filosofica dell'impegno si
intreccia con l'etica: furono uomini i nazisti? E se non lo furono, chi commise
tutte quelle atrocità? Cosa distingue un uomo da un non-uomo? Queste sono solo
alcune delle domande che affliggono Enne 2 , capitano dei GAP a Milano
protagonista del romanzo. Senza aver la pretesa di essere portatore della
verità l'autore ci dà tanto da riflettere , con la speranza che studiando
meglio il passato si possa costruire un futuro migliore.
Opera che cerca con stili e strumenti linguistici diversi
dagli altri di esaminare il complesso fenomeno della resistenza è certamente “Il
sentiero dei nidi di ragno” di Calvino. Il clima quasi fiabesco dell'opera
vista dagli occhi di un bambino abbandonato a se stesso ( il protagonista Pin )
alla continua ricerca di amicizie risulta perfetto per cercare di esaminare i
diversi tipi di uomini che animarono la
lotta partigiana. Che speranze avevano? Furono tutti uguali e spinti
dalle stesse motivazioni?
A chiudere la rassegna di libri sulla resistenza italiana
pare opportuno consigliare un altro capolavoro della letteratura italiana del
secondo '900: “La ragazza di Bube” di Cassola.
Che esiti ebbe la resistenza sulle giovani generazioni che la
combatterono? Il libro affronta il tema della resistenza e degli immediati anni
del dopoguerra sullo sfondo di una storia d'amore degna della migliore
letteratura d'amore. Disillusioni, ingiustizie, amori, fedeltà e speranze di
un'intera generazione in quello che è forse il migliore libro di Cassola.
La resistenza come fenomeno europeo
La produzione letteraria nell'immediato dopoguerra fu vasta
in tutta Europa, e un paese molto vicino a noi e affine culturalmente come la
Francia, travolta e umiliata dalla sconfitta del giugno 1940, non poteva non distinguersi nella letteratura
sulla resistenza. Il romanzo forse migliore uscito sull'argomento è “Il
silenzio del mare” di Vercors che racconta il mutamento d'animo di un
ufficiale tedesco di stanza in Francia durante l'occupazione, passando da un
entusiasmo quasi utopico di fratellanza fra i nemici storici Francia-Germania
alla disperazione pura che culmina con la decisione, da parte dell'ufficiale,
di partire per il fronte. Diffusosi in Francia come libro clandestino durante
la guerra godette di buona fortuna nell'immediato dopoguerra grazie al suo
stile leggero e grazioso. Per chi volesse approfondire l'argomento della
resistenza nella letteratura francese è d'obbligo consigliare l'ottimo libro a
cura di Walter Mauro “La Resistenza nella letteratura francese. Dalla II
guerra mondiale all'Algeria”.
Sempre nell'ambito della resistenza come fenomeno europeo e
trascendente il periodo della seconda guerra mondiale si può consigliare anche
la lettura di “Sostiene Pereira” di Tabucchi. Il romanzo non solo ci da
modo di conoscere la situazione del Portogallo Salazarista ma mostra, nella figura
del dottor Pereira, che la resistenza non è per forza lotta armata e volta
contro un nemico fisico ma è prima di tutto una resistenza intima, personale,
contro se stessi.
Una breve citazione la merita anche “Treni strettamente
sorvegliati” scritta dal maestro Hrabal, la resistenza è solo sfondo
storico del breve romanzo dove domina ovunque invece “l'ironia praghese” tanta
cara all'autore, nondimeno la bellezza del libro ne merita almeno una breve
citazione.
Per chiudere il nostro percorso e avere un quadro più
completo possibile della situazione si dovrebbe leggere infine “Eravamo
ridiventati uomini” di Bobbio: raccolta di interventi, saggi brevi e
interviste rilasciate nel corso degli anni dal compianto Professore. Di
fondamentale importanza la sua lettura non solo per cercare di capire la
resistenza ma sopratutto il suo stretto rapporto con la nostra democrazia e
costituzione; inoltre il libro da modo di osservare l'evoluzione del pensiero e
delle reazioni di un protagonista della resistenza sulla resistenza stessa man
mano che gli anni passano, è per caso morta la resistenza? E se si, l'abbiamo
uccisa noi?
Questo percorso di libri non vuole, almeno nelle intenzioni,
essere solo una arida lista di classici accomunati dallo sfondo storico della
resistenza, nasce più dall'esigenza di capire come e perché l'individuo sia
portato a resistere, in quali modalità, e come questo rappresenti un baluardo
della libertà umana.
Capire tutto questo oggi risulta sempre più urgente,
sopratutto per le generazioni più giovani, per costruire un futuro sempre
migliore.
Brevi menzioni
Scegliere una lista di libri è di per se una scelta faziosa,
soggettiva e capricciosa. Non è stato facile scegliere solo alcuni dei
tantissimi libri che popolano l'universo letterario; nondimeno sento almeno la
necessità di citare, in ordine casuale, alcuni grandissimi libri che hanno
animato e animano il nostro patrimonio culturale: “ Il giardino dei
Finzi-Contini” di Bassani; “Cristo si è fermato a Eboli” di C.Levi ;
“ Se questo è un uomo” di P.Levi; “ Il partigiano Johnny” di
Fenoglio e ultimo, ma non per importanza, “Il mondo è una prigione” di
Petroni.
IL CINEMA DELLA RESISTENZA
Forse il modo migliore per iniziare un percorso
cinematografico attraverso la Resistenza è proprio partire dal racconto di un viaggio. Nella
fattispecie il viaggio che intraprende il sottotenente Alberto Innocenzi,
protagonista di “Tutti a casa” (1960) di Luigi Comencini. La pellicola
inizia con l'annuncio dell'armistizio di Cassibile, in virtù del quale il
nostro protagonista, ufficiale fascista con poco senso marziale e molta
nostalgia di casa, decide di intraprendere il viaggio per tornare dal padre a
Roma partendo dal Veneto, dove si trova di stanza. In questa anabasi il
protagonista, interpretato magistralmente da Alberto Sordi, sarà spettatore
passivo di ingiustizie e atrocità, che vedranno vittime tutti i commilitoni con
cui aveva intrapreso il cammino. La sua vigliaccheria gli impedirà di
ribellarsi a questi soprusi fino ai momenti finali della storia, dove deciderà
finalmente di essere attore e non più spettatore del teatro di battaglia
italiano, partecipando alla rivolta delle quattro giornate di Napoli. In un
sapiente mélange tra neorealismo e commedia all'italiana, Comencini ci
restituisce in pellicola uno spaccato dell'Italia del tempo visto dagli occhi
di un personaggio stereotipo dell'italianità più sfrenata, fatta di
opportunismo ma anche di pietas, per
culminare infine nell'eroismo.
Il tema del riscatto è stato messo in risalto spesso
all'interno della cinematografia della Resistenza e risponde ad un
interrogativo molto semplice: partigiani si nasce o si diventa?
La risposta per la maggior parte degli autori pare essere la
seconda, come ci spiega bene “Un giorno da leoni” (1961) di Nanni Loy.
In questo film tre personaggi estremamente eterogenei (uno studente, un pavido
ragioniere e un borsaro nero) si trovano costretti ad unirsi ad un gruppo di
partigiani che ha la missione di far saltare in aria un ponte della ferrovia.
La pellicola ha il pregio di tenersi lontana da una facile retorica e di
mettere a fuoco le luci e le ombre di quel periodo storico e anche della
Resistenza stessa (si prenda ad esempio la scena in cui i nostri sono costretti
ad uccidere un compagno di università di uno dei protagonisti perché repubblichino).
In questo contesto l'evoluzione dei personaggi verso una presa di coscienza del
loro ruolo e di quello della lotta partigiana avviene in maniera coerente e
sincera, per restituirci alla fine l'idea che ogni persona con un minino di
bene dentro di sé non potesse evitare di finire a combattere, anche solo per
far saltare un ponte.
Sempre seguendo il tema della ribellione all'oppressione e
della lotta popolare, Loy l'anno seguente ha realizzato “Le quattro giornate
di Napoli” (1962), rappresentazione cinematografica del primo grande
episodio di insurrezione popolare contro il nazifascismo. In una Napoli
devastata dai bombardamenti e oppressa dal giogo nazista, una popolazione ormai
allo stremo decide di ribellarsi alle deportazioni di massa che il comando tedesco
ha programmato nei giorni seguenti. Il film è corale, con tanti personaggi le
cui storie vanno a intersecarsi ma non si sovrastano mai tra loro, rendendo
l'immagine di una città che decide di ribellarsi per sfinimento e per orgoglio,
riprendendo il filo narrativo lasciato da “Tutti a casa” proprio in questo
momento storico.
Prima di muoverci al di fuori dei confini italiani e per
concludere, forse un po' anacronisticamente, questo ciclo di film italiani
sulla Resistenza, è doveroso citarne il capostipite, “Roma città aperta”
(1945) di Roberto Rossellini. Tra i capostipiti e le pietre miliari del
neorealismo, il film si dipana in una Roma post-armistizio, dove la resistenza
è già attiva, e vede protagonisti diversi personaggi: un militante ricercato e
un prete (Aldo Fabrizi) che cerca di aiutarlo, assieme ad un amico tipografo e
la sua futura moglie (Anna Magnani). La rappresentazione di una Roma occupata,
cupa e avvilente e di una popolazione sfibrata e furiosa (iconico il “Vammoriammazzato!” della Magnani rivolto ad un
soldato nazista) è resa ancora più potente dalla scelta dello stile neorealista
e dall'oggettività priva di retorica che questo veicola.
Oltrepassando i confini nazionali,
il primo Paese che ha avuto una resistenza organizzata paragonabile a quella
italiana è la Francia. A rappresentanza della filmografia di questo Paese sono
stati scelti due film che per certi versi si trovano agli antipodi per
l'approccio al tema ma che presentano un sicuro filo conduttore. Il primo è “Il
treno” (1964) di John Frankenheimer: ispirato liberamente a fatti reali, è
la storia di un gruppo di ferrovieri francesi e del loro tentativo di impedire
ad un treno tedesco carico di opere d'arte di raggiungere la Germania.
L'originalità del film si deve ricercare nell'aver inserito la tradizione
storico-culturale di un Paese (qui rappresentata dai dipinti trafugati) tra i
valori che la Resistenza deve difendere dall'occupazione straniera. E proprio
in questo tema si va ad inserire anche “L'ultimo metrò” (1980) di
François Truffaut, sebbene questa non sia affatto l'unica tematica affrontata
dalla pellicola. La trama e i personaggi del film, ambientato a Parigi nel 1942, ruotano attorno alla messa
in scena di uno spettacolo teatrale: Marion Steiner, una celebre attrice
passata dal cinema al teatro, dirige la compagnia in assenza del marito, Lucas
Steiner, regista e impresario ebreo, che per sfuggire all'arresto si finge
partito ed espatriato all'estero, mentre in realtà si nasconde nello scantinato
del teatro. Per il ruolo di primo attore viene ingaggiato Bernard Granger,
giovane irruento che ad insaputa dei colleghi fa parte della Resistenza.
La pellicola, a differenza de “Il
treno”, è più sottile ma di certo non meno palese nei suoi intenti:
innanzitutto quello di dare un'immagine della Parigi del tempo e di tanti
piccoli atti di (r)esistenza quotidiana della popolazione e successivamente
quello di voler narrare la volontà, nonostante l'occupazione, di mandare avanti
l'arte teatrale, volontà incarnata magnificamente dal regista costretto a
dirigere la sua rappresentazione dalla cantina del teatro. Ovviamente il film
tratta anche di altre tematiche, tra quelle care a Truffaut, ma il filo che lo
collega alle altre opere di resistenza, in primis con “Il treno”, è facilmente
identificabile e di sicura importanza nell'ambito.
Muovendosi all'interno del
continente, un'altra Resistenza all'occupazione nazifascista è stata quella
opposta nei Balcani. Trovare un film prodotto in ex Jugoslavia che non sia di
stampo decisamente propagandistico non è purtroppo facile, in quanto una
discreta parte dell'industria cinematografica del dopoguerra in quel Paese
prendeva i suoi fondi direttamente dalle casse statali. Per questo motivo il
titolo più intellettualmente onesto che ci è sembrato opportuno proporre è “Tre”
(1965) di Aleksandar Petrovic. Il regista serbo, che più tardi sarà anche
accusato di simpatie anticomuniste, propone un film diviso in tre episodi che
vedono lo stesso protagonista: nel primo questo giovane è un profugo di guerra,
nel secondo è diventato un partigiano e cerca di sfuggire ad un plotone
tedesco, nel terzo è ormai finita la guerra e come ufficiale dell'esercito
jugoslavo deve decidere del destino di alcuni collaborazionisti. La bellezza
della pellicola sta nella forza con cui questa si dipana attraverso due temi:
quello della brutalità dell'occupazione nazista e insieme anche quello della
brutalità della guerra, vista come il vero motore della perdita di umanità. Il
nostro protagonista infatti, dopo aver imbracciato le armi ed essere stato
costretto quindi a partecipare a questa guerra, nella parte finale sembra
scivolare proprio oltre la barricata, dimenticando la sua umanità anche di
fronte a inermi prigionieri collaborazionisti. Il film quindi pone l'accento
sulla questione che ha sempre accompagnato la storia della Resistenza, quella
della legittimità della lotta armata e delle sue conseguenze morali.
Un ultimo film da consigliare prima
di cominciare a muoverci anche sulla linea temporale, oltre che su quella
spaziale, è “Il labirinto del fauno” (2006) di Guillermo del Toro. La
vicenda si vuole collocare alla fine della guerra civile spagnola, quando
ancora un gruppetto di sparuti partigiani resiste al regime franchista. La
Storia però fa da sfondo ad una favola, quella di una bambina, figliastra di un
capitano dell'esercito franchista, che si trova sul fronte di questa guerra tra
regime e partigiani, vivendo
un'avventura fantastica popolata da fauni e creature fiabesche. In questa
favola nera del Toro tiene sapientemente aperte due linee narrative: quella
della guerra tra regime e resistenza e quella fiabesca della piccola Ofelia.
Queste due linee non sono però parallele e dunque mai destinate ad incontrarsi,
ma si può considerare la seconda una figliazione della prima, la conseguenza di
un disperato tentativo di fuga di Ofelia dalla brutalità della guerra e del
franchismo verso un mondo fantasy dove si ripresentano in altro modo le stesse
atrocità, ma dove lei è capace di opporvisi e lottare.
Un po' come nel canto di Natale di
Dickens, dopo aver visitato i film della Resistenza passata, ci è sembrato
giusto proporre anche i film di una possibile resistenza futura, tema
estremamente ricorrente nella letteratura e nel cinema distopico.
Iniziamo questa cavalcata con “Fahrenheit
451” (1966) di François Truffaut, trasposizione cinematografica del celebre
romanzo di Ray Bradbury. In un mondo futuro vengono vietati il possesso e la
lettura di libri, le cui copie clandestine sono stanate e bruciate da un
paradossale corpo dei pompieri. Il protagonista è proprio un membro di questo
corpo che nel corso della storia comincia ad avere dei dubbi sulla sua funzione
e a leggere clandestinamente di notte i libri che di giorno dovrebbe bruciare.
Anche qui ricorre il tema della resistenza come salvaguardia del patrimonio
culturale dei popoli, come già visto in altri termini ne “Il treno” e “L'ultimo
metrò”, ma con una riflessione che pone più luci ed ombre su questa azione di
salvataggio: i libri in questa società distopica sono osteggiati in quanto
portatori di dubbi e domande, e quindi di infelicità. Vale la pena quindi
salvare la cultura e dunque l'infelicità ancestrale che il genere umano si
porta dietro?
Se “Fahrenheit 451” si pone il
quesito della fatale infelicità insita nella natura umana, “Gattaca”
(1997) di Andrew Niccol va ad affrontare il destino dell'uomo partendo proprio
dalle basi biologiche della sua esistenza, ovvero il codice genetico (non a
caso il titolo contiene solo le lettere iniziali delle quattro basi azotate che
compongono il DNA). In questo mondo distopico il destino di un individuo è
conosciuto fino dalla sua nascita grazie a speciali macchinari di lettura del
DNA, venendo così a creare un nuovo tipo di razzismo, quello basato sul codice
genetico. Il protagonista per poter realizzare i suoi sogni dovrà quindi
lottare e ribellarsi per uscire dalla condizione a cui lo ha relegato il suo
imperfetto genoma. In questa pellicola dunque la ribellione ad una società
ingiusta si unisce ad una resistenza contro i fondamenti biologici
dell'esistenza stessa, dando l'idea che l'individuo non possa essere decifrato
partendo unicamente da una lunga stringa di quattro basi azotate.
Per chiudere l'ambito distopico
della resistenza, ci pare giusto alleggerire il tema e proporre “Il
dormiglione” (1973) di Woody Allen. In questa commedia il povero Mike
Monroe (Woody Allen) si vede congelato a tradimento nel 1973 e risvegliato nel
2173 ad opera di alcuni scienziati impegnati nella resistenza ad un dispotico
regime. Mike sarà quindi, suo malgrado, costretto ad unirsi alla resistenza in
quanto persona non identificata dal Governo centrale e passerà attraverso
diverse peripezie per cercare di sabotare un segretissimo progetto Aries. Nel
film Allen si lascia andare ad una scanzonata parodia della letteratura e del
cinema distopici, nonché di alcuni stereotipi delle resistenze armate e dei
loro eroi nella Storia.
Dopo aver visitato il passato e i
vari ipotetici futuri, riteniamo opportuno chiudere con un amaro presente, a
dimostrazione del fatto che la resistenza non è stata confinata ad un preciso
periodo storico e anche per fornire una riflessione sulle modalità della
resistenza stessa nel mondo contemporaneo. Il film proposto è “Paradise now”
(2005) di Hany Abu-Assad, di produzione e regia palestinesi, che narra le
vicende di due ragazzi di Nablus reclutati, da parte della resistenza
all'occupazione israeliana, per compiere degli attacchi suicidi a Tel-Aviv. La
pellicola ha il pregio di mostrarci la vita e l'evoluzione emotiva di questi
due ragazzi decisi al martirio, facendo anche una riflessione profonda sulle
modalità con cui si porta avanti la resistenza all'occupazione israeliana. Se
da un lato vi è da parte del regista una condanna alla scelta della lotta
armata in favore di una resistenza pacifica, dall'altro lato viene mostrato in
maniera precisa quali sono le condizioni di oppressione e di odio che possono
spingere due ragazzi comunissimi alla scelta di togliersi la vita in nome della
causa palestinese.
Questi percorsi rappresentano la
nostra personale opinione sulla materia, sperando vi siano piaciuti e vi
possano essere di ispirazione, vi invitiamo a farci sapere cosa ne pensate e a
inviarci pareri, suggerimenti, opinioni e critiche qua nei commenti o
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