venerdì 6 ottobre 2017

GIRO D'ITALIA #4: TOSCANA







“Infatti, anche l'aria e il sole sono cose da conquistare dietro le barricate”.

Toscana neorealista

Giunti alla quarta tappa del nostro Tour approdiamo in Toscana, regione che ha fornito tra i più importanti autori della nostra letteratura. La scelta del libro di questa settimana è ricaduta su "Il quartiere" di Vasco Pratolini, scrittore nato a Firenze e considerato tra i promotori del movimento "neorealista".

Ambientato negli anni '30, il romanzo narra delle peripezie di un gruppo di ragazzi adolescenti appartenenti ad un quartiere popolare di Firenze. L'opera si caratterizza per un intreccio continuo di vicende personali e collettive dei vari personaggi senza che ne emerga uno in particolare, neanche della voce narrante che si identifica con quella dell'autore.
A far da sfondo è il quartiere Santa Croce di Firenze, quasi vero e unico protagonista del romanzo, descritto come un proprio mondo isolato dal resto in cui, tra le difficoltà della vita e la miseria umana, la sua gente ci si riconosce e la appartiene.


Attraverso le varie vicende amorose e non ( "eravamo creature comuni. Ci bastava un gesto per sollevarci collera o amore" ricorderà la voce narrante ) l'autore riesce nel duplice intento di raccontare da un lato lo sviluppo spirituale e la presa di coscienza politica dei suoi personaggi e dall'altro, attraverso la descrizione del Quartiere, la vita politica fiorentina e la tendenza del fascismo di demolire le case popolari nel tentativo di impedire in nuce moti rivoluzionari.

Infine nel romanzo si possono notare alcuni degli aspetti più originali dello stile di Pratolini, tra cui la maestria nella descrizione della realtà cittadina, in particolar modo delle periferie, senza la classica contrapposizione con il mondo contadino. Pratolini ci ricorda come anche in città sia possibile la formazione di un luogo corale di sentimenti e di appartenenze, prerogative più dell'uomo che non del luogo.




Toscana tragicomica

Il film scelto questa settimana per rappresentare la Toscana, o ancora meglio la toscanità, è "Amici Miei" (1975) di Mario Monicelli.

Nato dalla fervida mente di Pietro Germi, che per via della sopraggiunta malattia ne affidò la regia a Monicelli, il film racconta le avventure di una sgangherata comitiva di amici fiorentini, "amici di scuola, di caserma, e dunque amici da tutta la vita" come sottolinea Giorgio Perozzi, voce narrante della vicenda.
Partendo dall'architetto Melandri, consumato dall'amore per una donna al di sopra delle sue possibilità, passando per il conte Mascetti, nobile (de)caduto in una disgrazia nerissima, e finendo al Perozzi, marito e padre ma fondamentalmente solo se non fosse per gli amici, la pellicola narra con umorismo e allo stesso tempo estrema amarezza e cinismo le goliardate del gruppo e le vicende personali dei singoli protagonisti.

La scelta di questo film per il percorso non è stata fatta semplicemente per la sua ambientazione fiorentina, ma per la viscerale toscanità che pregna tutta la pellicola. Monicelli, che non a caso ha fatto credere per tantissimo tempo di essere nato a Viareggio e non a Roma, sentiva le sue radici affondare in Toscana e ci ha lasciato un film caratterizzato da un umorismo "tipico" della regione: viscerale, sarcastico e amaramente ironico. 
Se a questo si aggiunge una costante e implacabile dissacrazione di ogni autorità, religiosa, istituzionale e sociale, quello che si ottiene è un film caposaldo della commedia all'italiana, in equilibrio precario tra la commedia e la tragedia, splendido esempio della toscanità più verace, quella che riesce a far ridere persino ad un funerale.