venerdì 29 settembre 2017

GIRO D'ITALIA #3: SICILIA



Acquerello Siciliano

Nella terza tappa del nostro tour italiano approdiamo in Sicilia, terra di innumerevoli scrittori, poeti e drammaturghi. Tra la vasta scelta di autori disponibili la mia decisione è ricaduta su "Gli zii di Sicilia" di Leonardo Sciascia.

Raccolta composta da 3 racconti lunghi, pubblicato per la prima volta nel 1958 nella prestigiosa collana "I gettoni" diretta dal compianto Elio Vittorini, si presenta come uno dei primi tentativi di Sciascia come narratore.

La raccolta si apre con "La zia d'America", prosegue con "La morte di Stalin" e si conclude con "Il quarantotto". I primi due racconti sono accomunati sia nello stile che negli intenti, essendo tentativi dissacratori di due opposti miti dell'epoca: lo "zio Sam" da un lato, simbolo di libertà e opportunità lavorative, e Stalin dall'altro, come rappresentante d'eccezione del mito comunista. 
Il terzo racconto invece è ambientato nel periodo risorgimentale e tratta del tema dell'unificazione del regno d'Italia visti dagli occhi di un siciliano, con forti richiami alle opere di De Roberto e Tomasi di Lampedusa nelle descrizioni della classe dominante autoctona. 

In questa opera si possono osservare in nuce molti dei tratti che renderanno celebre, in Italia e in tutto il mondo, la figura di Sciascia: il suo attaccamento al territorio siciliano, la capacità di coglierne contraddizioni e paradossi, l'impronta fortemente umoristica con una venatura di pessimismo e in assoluto la maestria nel "tende(re) naturalmente alla definizione morale di una società".
                                      




Pene d'onor perduto

Dopo la gita nel freddo inverno abruzzese, questa settimana ci spostiamo in Sicilia con una pellicola che ribolle di ardori amorosi e violenti: "Divorzio all'italiana" (1961) di Pietro Germi.

Nel fittizio paese siciliano di Agramonte vive il barone Ferdinando Cefalù, un nobile decaduto e decadente, imprigionato in un matrimonio senza sentimenti (almeno da parte sua). Innamoratosi della cugina Angela, ed essendo la legge sul divorzio di là da venire, Ferdinando intesse e cerca di mettere in pratica un elaborato piano per far sì che la moglie lo tradisca, in modo da poterla uccidere ed essere condannato alla risibile pena prevista per il delitto d'onore, con la speranza di poter sposare Angela una volta uscito dal carcere.

Il film, considerato tra i capostipiti della commedia all'italiana (che deriverebbe il suo nome proprio dal titolo della pellicola), è un autentico capolavoro di satira sociale e di costume. Agramonte e i suoi abitanti sono rappresentanti perfetti di quella parte di Sicilia (e di Italia) che già ai tempi di Verga era stata travolta dalla fiumana del progresso, e da allora non ha mai avuto la possibilità di adattarvisi: paradigmatico è l'urlo "Bottana!" che si leva nel film durante un dibattito sull'emancipazione femminile organizzato dal PCI locale.

Germi mette in scena una pellicola sarcastica e intrisa di cattiveria, scegliendo di rappresentare esclusivamente personaggi sgradevoli allo spettatore, che alla fine è quasi costretto, in questo marasma, a fare il tifo per Ferdinando Cefalù. Il barone (Marcello Mastroianni) infatti ci guida nel suo grottesco piano facendo da voce narrante, appassionata e romantica in maniera ridicola, ad un intrigo freddo e calcolato, restituendoci un personaggio ambivalente e nevrotico come la Sicilia in cui vive, divisa tra tradizione e progresso, tra onore ed amore.

venerdì 15 settembre 2017

GIRO D'ITALIA #2: ABRUZZO

Cronache di un Abruzzo dimenticato



                                                                                            
" Vi è ancora qualche scellerato, qualche persona onesta ma stupida, e per il resto la solita maggioranza di pecore e capre."

Il segreto di Luca


Nella seconda tappa del nostro giro d'Italia, dopo aver visitato la capitale, approdiamo in Abruzzo, più precisamente in provincia d'Aquila. 

Il libro di questa settimana è "Il segreto di Luca", romanzo di Ignazio Silone pubblicato nel 1956  e considerata una delle sue opere "minori", al contrario del celebre e pluri-tradotto "Fontamara".


Ambientato a Cisterna dei Marsi (AQ) narra delle vicende di Luca, che ritorna nel suo paese natio dopo oltre 40 anni di carcere ingiustamente scontati per un delitto mai commesso. La notizia del suo ritorno è visto con timore dai suoi compaesani, e la sua figura è avvolta nel mistero soprattutto a causa della sua decisione di non difendersi a suo tempo in tribunale di fronte l'accusa. 

Uomo mite e solitario, escluso per pregiudizio e paura dal resto del paese, porta seco un segreto che solo Andrea Cipriani, ex-partigiano e importante uomo politico, cercherà di scoprire nel tentativo di far luce sulla misteriosa vicenda.


La trama è molto godibile e scorrevole, e a parte qualche accenno di troppo esplicito moralismo, come sottolineato da Ferroni, la vera forza del romanzo sta nelle sue descrizioni. 
Silone infatti maschera le sue pretese etnografiche e antropologiche dietro una storia misteriosa, somigliando per certi versi in questo al "Cristo si è fermato ad Eboli" di C.Levi, e così facendo ci rende partecipi di un modo di pensare e di vivere forse estintosi per sempre, e che proprio per questo si inserisce ottimamente nel nostro percorso.


Uomini e lupi


Dopo l'afosa pausa estiva, riprendiamo il Giro d'Italia direttamente dalle nevi abruzzesi di "Uomini e lupi" (1957) di Giuseppe De Santis e Leopoldo Savona. 



Nel rigido inverno abruzzese spicca la figura del luparo, cacciatore ingaggiato dai pastori locali per proteggere il bestiame dai lupi che nel periodo più rigido dell'anno scendono famelici dalle montagne. 
La trama ruota attorno alle vicissitudini professionali e sentimentali di due lupari, Ricuccio e Giovanni, e della moglie di quest'ultimo, sul vivido sfondo di un Abruzzo rurale e montano.



La pellicola è un melodramma piuttosto classico che ruota attorno alle figure di Ricuccio e della moglie di Giovanni, Teresa, interpretata magistralmente da Silvana Mangano. La bellezza del film, merito anche del contributo in fase di sceneggiatura di Tonino Guerra ed Elio Petri, risiede tuttavia tra le pieghe e nello sfondo della vicenda melodrammatica, ovvero nella rappresentazione fedele e sincera di un Abruzzo rurale ormai destinato alla scomparsa. Il paese di Vischio, teatro degli avvenimenti, diventa paradigmatico di una parte d'Italia dimenticata dal progresso sociale e tecnologico, dove la lotta tra uomo e natura è ancora alla base della sopravvivenza e dove quindi i lupari, figure romantiche e vagabonde, possono ancora avere un significato nell'immaginario popolare.



Da non sottovalutare sono anche gli aspetti documentaristici del film: girato durante le storiche nevicate del 1956, acquisisce valore di testimonianza delle difficoltà della popolazione abruzzese in quel periodo e anche in quello attuale, dove suscita un eco sinistro la presenza di un paese terremotato all'interno della pellicola.